Inserito il 10/10/2004

Rev. 3

 

 

Astronomia e motorizzazioni in pillole

 

 

Alla fine degli anni ’50 molti astrofili iniziarono a sentire il bisogno di inseguire il moto degli astri per poter effettuare delle foto decenti senza le classiche comete onnipresenti. Le pellicole erano quello che erano e salendo con gli ASA le immagini si sgranavano in maniera preoccupante già dopo i 100. E con 100 ASA senza inseguimento la Luna era l’unico target possibile.

Per inseguire i target occorreva un motore, anche uno solo magari, posto nell’asse di ascensione retta, e che si muovesse al ritmo della sfera celeste, ovvero qualche minuto meno di 24 ore per compiere un giro completo di 360 gradi. Facile a dirsi ma meno a farsi allora.

 

 

Sistemi a base dei tempi controllata

 

La prima soluzione fu ovviamente quella dell’orologio a bilanciere di cospicue dimensioni. Una orologione per dirla scherzando.

La soluzione, precisione a parte, era complessa, costosa e poco pratica. Non so quanti utenti ci siano che abbiano sperimentato questi meccanismi primitivi di inseguimento, ma penso pochi tra noi.

 

La soluzione seguente fu ovviamente quella dei motori sincroni con la rete: 50Hz in Europa e 60Hz in USA. La rete, anche se molti non lo sanno genera una frequenza, il 50 o 60 hertz, con una precisione incredibile. Per trovare un errore nella frequenza occorre andare alla terza o quarta cifra decimale. Non poco e comunque sufficiente a esposizioni di qualche minuto.

Purtroppo i meccanismi erano condizionati dal bisogno di lunghe catene di riduzione poiché i motori avevano un  numero di giri abbastanza elevato, almeno se si voleva una coppia sufficiente alla bisogna.

E le riduzioni avevano un problema. O erano costosissimi meccanismi da orologiaio, quindi inavvicinabili dal dilettante o erano carenti in precisione. Vedi laschi, inerzie, viscosità, flessibilità degli alberi eccetera.

Certo, un giro lo facevano sempre nel solito tempo ma sperare nelle precisioni di primi o addirittura dei secondi d’arco in una ben delimitata zona di rotazione era utopistico.

Inoltre, e non era cosa da poco, questi sistemi richiedevano una presa della corrente vicina, e quindi addio la trasportabilità. C’erano è vero gli inverter a batterie, già allora, da collegare all’accendisigari della macchina, ma la loro precisione era ridicola se non quarzati, e se lo erano il costo volava.

 

 

La soluzione costosa

 

L’unica soluzione seria per risolvere il problema dell’inseguimento era quella di una catena servo tecnica completa, ovvero di qualcosa di simile a quanto mostrato in figura.

 

 

 

In pratica la catena è costituita da un motore, qualunque, da una catena di riduzione, anch’essa qualunque, entro certi limiti, e da un sensore di posizione.

Con questo sistema è possibile usare ingranaggi a recupero del gioco con molle o altri simili espedienti per migliorare la fluidità e la precisione, senza introdurre errori.

Tutto questo è collegato ad un blocco di elettronica, chiamata in gergo servo, che controlla la posizione e comanda il motore in maniera che esso sia sempre nel posto giusto rispetto all’asse che è l’uscita di tutta la macchina. Il comando è ovviamente quello dall’utente o del suo, eventuale computer di controllo.

Ovvio che tutta la precisione del sistema risiede nel blocco Posizione, quello che cioè ci indica dove l’asse sia in quel momento. Sembra una sciocchezza ma un resolver, così viene chiamato, che indichi i secondi d’arco costa una follia. Diciamo che oggi siamo nell’ordine dei 2 o 3 mila € quando và bene. Si può spendere anche molto meno, ma la precisione cade di schianto a frazioni di grado, altro che secondi! Inoltre, per poter leggere un simile dispositivo, occorre un’elettronica capace di precisioni da laboratorio, con convertitori A/D a 5 cifre. È vero che si possono usare encoder ottici ma, attenzione, o sono dei semplici sistemi ad ingranaggi, ed allora il problema non lo si risolve più, o sono oggetti che costano il doppio dello specchio da 300mm che volete pilotare!

 

 

 

 

La soluzione attuale

 

Tutto rimase così nel libro dei sogni degli astrofili fino all’avvento dei microprocessori a basso costo. Gli americani ebbero una idea, risultata poi geniale, di evitare i costosi “resolver” e di usare l’occhio dell’utente come risolutore assoluto, e il microprocessore come memoria degli errori. Geniale davvero.

In pratica tutti i telescopi motorizzati, almeno tutti quelli dilettantistici, sono costruiti con questo sistema.

 

 

 

Facciamo un passo indietro. Un servo è preciso ne più ne meno come

 

E = p – c

 

Dove E è l’errore, p la posizione e c il comando. Ovvio direte. Si, purtroppo come abbiamo visto la differenza tra questi due parametri è assai costosa da leggere e controllare. Come fare allora? Semplice con la seguente asserzione.

 

 

E = p + f(φ) – c

 

Questa è la semplice formula usata dai costruttori per risolvere con pochi spiccioli il problema. Tutto sta, ovviamente nel termine, un po’ oscuro di f(φ) . vediamo un po’ meglio cosa vuol dire.

 

 

Ma come funziona l’arcano?

 

La cosa è più complessa di quello che sembra, ma semplicissima per chi la usa.

Una volta puntato il tele sul celo, l’elettronica assume come punto iniziale del movimento quello che voi gli direte essere una certa posizione DEC/RA. Il processore se la segna da una parte come f(φ0) = 0 e vi chiede di inquadrare qualcos’altro. Quando gli direte che lo avete nel centro del reticolo il processore farà due conti e capirà quanti giri, spesso molte migliaia del motore, ha fatto per arrivarci. In pratica calcola quello che c’è in mezzo tra lo zero e la nuova posizione che ha raggiunto con errore rispetto al teorico calcolato di f(φ1) = e1 .

Continuando con altre osservazioni, diciamo così di prova, alla fine egli, il processore, si costruirà una curva chiamata di non linearità. Una curva che, a seconda della qualità dello strumento, tiene in memoria una serie di

 

                                   f(φ0), f(φ1)= e1,  f(φ2) = e2,  f(φ3) = e3,  f(φ4) = e4 eccetera …..

 

 

È chiaro che la precisione del meccanismo usato può essere anche assai povera, e quindi così è per ragioni di costo.

Non ci si può aspettare una risoluzione a tutto campo di secondi d’arco. Di sicuro però, all’interno di quello che gli abbiamo “insegnato” lui, il tele, ci seguirà con errori davvero molto bassi. Specie se si considera che il tutto è fatto con componenti molto economici, abbastanza da permettere oramai a tutti di possedere uno strumento del genere. Pensate che per ottenere queste precisioni, 50 anni fa, si spendevano cifre da capogiro. A volte centinaia di migliaia di dollari d’allora! Nella foto successiva, tratta da Internet, un esempio di meccanica di telescopio di tipo GOTO. Si vede bene come i componenti siano assai economici ma evidentemente efficaci.

 

 

 

Il GOTO

 

Era il passo successivo e inevitabile. Dotando infatti lo strumento di una montatura alt-azimutale, e di due motori, sia per RA che la DEC era infatti possibile insegnare al tele non solo a muoversi con precisione ma anche, grazie ai micro computer di trovare gli oggetti dei nostri desideri. Per farlo bastava inserire nella memoria del micro le posizioni assolute dei copri celesti e dirgli quindi dove siamo, latitudine e longitudine, che data è e che ore sono. Il gioco è fatto. Due conti e l’oggetto cade dentro il reticolo del cercatore. Ovvio che solo dopo avere ben istruito il processore la cosa funziona, ma basta poco per prendere pratica in questa lezione all’elettronica e dopo tutto è assai più facile. Ecco l’oggetto dei desideri di quasi tutti gli astrofili. Mi scuso con gli altri produttori se unisco solo questa immagine. Di marche ce ne sono molte altre.

 

 

 

 

Conclusioni

 

Sono molti gli astrofili che si dicono nemici di questi sistemi automatizzati, e non posso dar loro torto. È un po’ come cercare di convincere un appassionato orologiaio che sono meglio gli orologi al quarzo di quelli col bilanciere. Sarà magari anche vero ma il fascino del tic-tac non c’è più… E lo capisco, anche se, per la mia professione, non dovrei dirlo. Rimane l’indiscutibile fatto che nel mondo caotico e convulso di oggi, avere uno strumento che in dieci minuti è in batteria senza problemi e cerca, e trova, gli oggetti in pochi secondi è un vantaggio insuperabile. Io non sono indicato, comunque, per dare consigli a nessuno.

 

 

Aggiunta doverosa:

ovvero affidabilità e durata di questi congegni

 

Tutto quanto visto ha un prezzo in termini di affidabilità non da poco. Tanto per essere chiari basti pensare che il mio primo telescopio, regalatomi da mio padre ..anta anni fa, è ancora lì, piccolo e semplice, ma ancora lì su di un mobile, perfettamente uguale a quando mi fu regalato. Ciò che acquistiamo oggi non durerà certo quanto quel rifrattore giapponese…

 

Extra tensioni in agguato

 

Spesso però molto è dovuto a noi e al nostro modo di usare le cose senza conoscerle per bene. Ad esempio è comune sentir dire di gente che stacca o attacca la tensione esterna al telescopio come se fosse un aspirapolvere. NON È COSI’!

Ogni volta che facciamo questa operazione, e lo strumento è su ON diamo uno shock elettrico a tutte le sue parti, a causa della induttanza del circuito che, specie se la tensione la leviamo, subisce una extra tensione in grado di danneggiarlo. Avete mai sentito dire di utenti che hanno dovuto, dopo una di queste operazioni animalesche, riprogrammare tutto lo strumento perché memoria dei dati e del programma se ne erano andati? Leggete i post dei gruppi di discussione e ne sentirete delle belle. Ovvio che ogni qual volta facciamo questo il nostro strumento invecchia di colpo di anni. Se poi muore, non ci lamentiamo.

Stessa cosa vale ovviamente per i cavi esterni, nel caso ci siano, penso all’LXD55 per esempio, per alimentare i motori. In questo caso lo shock lo prende il driver di potenza e la fine è la solita. Mai staccare le connessioni a macchina in funzione.

Per quanto riguarda poi il collegamento ai Pc o peggio al tastierino numerico del controller, ovvio il riferimento a Celestron e Meade, aprire il collegamento a macchina accesa è del tutto stupido. Pensate che in un gruppo USA ho letto che ci si diverte a fare gare su chi possiede lo strumento che, con controller staccato, sbanda meno…

Roba che nemmeno sul pianeta delle scimmie si sentirebbe.

Ovvio che il guasto è in agguato.

 

I blocchi meccanici

 

Altro errore è bloccare lo strumento con un fermo di qualche tipo, ovviamente meccanico, e poi lasciarlo, magari per una lunga esposizione col CCD, incustodito. Se la macchina non trova i fondo corsa propri e non sa cosa è che la frena tenterà lungamente di spingere verso l’ostacolo. Il risultato è un surriscaldamento dei motori e la morte successiva, se siete fortunati, del driver, che costa due soldi, oppure del motore, e allora sono dolori.

 

La temperatura

 

Altra scemenza tipica, che ho letto più volte, è accendere lo strumento in regimi termici assurdi. Ricordo ancora il post di un tale che chiamava gli amici per fargli vedere i caratteri, secondo lui cirillici, sul tastierino, quando la temperatura era particolarmente bassa. È bene dire subito che l’elettronica, quella consumer voglio dire, non è in grado di funzionare correttamente al di fuori di range che vanno da +°5, o al massimo °0, e i +°50 a volere esagerare.

Andare fuori da questi range significa stressare le parti oltre ogni senso, e quindi, in ultima analisi danneggiarle. Se il tastierino scrive cirillico, è perché l’elettronica non è in grado di svegliarsi adeguatamente e va, come si dice in gergo “in palla”. Insistere vuol dire trovarsi prima o poi con qualcosa di rotto.

 

Gli shock meccanico termici

 

Un’altra fonte di guai viene dagli shock meccanici, o peggio termici perché più subdoli, che diamo al nostro strumento. Fino a qualche anno fa l’unica cosa che potevano fare era battere in terra lo strumento stesso, cosa che capivamo bene non fosse quella giusta o scuoterlo, magari in auto per chilometri e chilometri senza troppe cautele. Se non si disallineava, o rompeva qualcosa, eravamo a posto.

Oggi non è più così. Ad esempio sono molto comuni gli eleganti, otticamente, strumenti tipo Schmidt o Maksutov oggetti che hanno una quasi sigillatura del tubo ottico. Quasi perché è aperto dietro. È proprio nel quasi che nasce il problema.

Uno shock termico creerà di sicuro problemi di condensa, e alla lunga, un danneggiamento delle parti ottiche, leggi finitura, interne. Questo non era mai un problema con i vecchi ed economici Newton ma diventa un problema ora.

Peggio che mai per la elettro meccanica. Qui circuiti stampati, in gergo pcb, motori e ingranaggi finiscono a “guazzo” con risultati drammatici. Anche gli impatti meccanici possono generare problemi a non finire. All’interno della macchina ci sono infatti connettori, parti saldate e altro che, sottoposte a impatti o shock meccanici possono smettere di funzionare. E spesso, come accade in elettronica, questi malfunzionamenti sono di tipo degenerativo. Tu stacchi il fine corsa, e si brucia il motore. Tu stacchi il current sens dell’alimentatore e ti parte tutta la scheda. Occhio quindi se siete dei ciabattoni di natura. (Come me!)

Mai generare questi eventi sia termici che meccanici con i moderni strumenti.

 

Come tutte le cose più sono complesse più sono delicate.

 

 

 

Paolo Lavacchini

p.lavacchini@tin.it